Di Raffaele d’Argenzio
Purtroppo oggi si parla con preoccupazione di Pozzuoli e dei Campi Flegrei, una delle zone più densamente popolate di persone, ma anche ricche di storia. Io li conosco bene e non da oggi. Sorrento, Portici, Amalfi, Positano…posti bellissimi, famosi al sud di Napoli, eppure in una domenica di quarant’ anni avevo preferito andare verso Nord, verso Pozzuoli, verso Cuma, verso Capo Miseno. Non ero solo, insieme a me c’era Enrico Cammarota, un giovanissimo giornalista (oggi valente direttore ed editore), che aveva accettato di condividere questo viaggio rinunciando alla bellezza sfrontata e sfruttata di Sorrento & C per quella nascosta e poco nota dei campi Flegrei.

Prima tappa fu Pozzuoli con il tempio di Serapide, di cui su una colonna si vedono i segni del bradisismo che da millenni spinge e abbassa questa zona come se fosse una sorta di coperchio su una pentola che bolle.

Visitammo anche l’anfiteatro Flavio, il terzo più grande mai costruito, dopo il Colosseo e quello di Capua (in realtà la vecchia Capua, oggi Santa Maria Capua Vetere, a circa 6 km da Caserta). E poi l’antro della Sibilla Cumana e il Lago d’Averno, dove arrivò Enea, come racconta Virgilio.

Proseguimmo poi verso Bacoli, ma purtroppo già allora notai quanto fosse difficile muoversi in quell’addensamento di case vecchie e nuove, forse costruite velocemente nell’euforia degli anni ’60. Comunque, arrivammo ai resti di Baia (frazione di Bacoli), che poteva essere considerata la Montecarlo dei Romani, dove le antiche terme erano in una struttura protetta da una semisfera che era integra, perfetta, e credo lo sia anche oggi dopo millenni, nonostante il bradisismo. Oggi è un museo subacqueo in cui si ammirano templi e ville sommerse.

Ma il ricordo più nitido e profondo è quello in cui a Bacoli andammo alla ricerca della Piscina Mirabilis. Fu un’impresa trovare la signora Maria (o Filomena?) che teneva in custodia la chiave. Ce la lasciò, chiedendoci di riportarla alla fine della visita. Enrico e io aprimmo e dopo un attimo ci sentimmo come due Indiana Jones alla scoperta di un tempio dalla bellezza inusuale abbandonata dal tempo e protetta dalla dimenticanza. Colonne armoniche, come in una basilica, quasi in una chiesa, noi due piccoli curiosi in un’immensità… “Guarda! Incredibile!”, ripetevamo in continuazione.

Stupore e poi gioia come per la scoperta di un tesoro. Solo noi due senza una guida, senza nessuno, se non la nostra curiosità, la nostra voglia di conoscere, di sapere per poi raccontare. Sensazioni uniche, profonde, autentiche, vere che nessuna visita digitale, prodotta dalla intelligenza artificiale, potrà mai eguagliare. Tornammo per riportare la chiave alla gentile signora Maria, (o Filomena?) bussando alla sua finestra, da cui usciva un profumo di ragù domenicale.

Di certo al nostro ritorno, ciascuno per proprio conto, ha raccontato la magnificenza di quella che era la più grande cisterna costruita dai Romani, ma non credo che siamo riusciti a trasmettere quelle sensazioni magnifiche, come quella di poter entrare nella storia e nella leggenda, che nel tempo diventa essa stessa verità, camminando sui Campi Flegrei, uno strano vulcano che in fondo è il respiro della Terra.