CAMPI FLEGREI: STORIA E LEGGENDA SOPRA IL RESPIRO DELLA TERRA
Di Raffaele d’Argenzio
Oggi si parla con sempre maggiore preoccupazione dei Campi Flegrei e di Pozzuoli, una delle aree più densamente popolate del sud Italia, ma anche tra le più ricche di storia. Io li conosco bene, da molto tempo. Nonostante le bellezze famose come Sorrento, Amalfi o Positano, in una domenica di qualche anno fa scelsi di andare verso Nord, in direzione di Pozzuoli, Cuma, Capo Miseno. Non ero solo: con me c’era Enrico Cammarota, all’epoca un giovane giornalista, oggi stimato direttore ed editore. Condividemmo quel viaggio scegliendo la bellezza nascosta e poco conosciuta dei Campi Flegrei, al posto di quella, per certi versi, più sfacciata e turistica della costiera.
La nostra prima tappa fu Pozzuoli, con il tempio di Serapide. Ancora oggi, su una delle sue colonne si possono osservare i segni lasciati dal bradisismo, quel fenomeno che da secoli fa salire e scendere il suolo come se fosse il coperchio di una pentola in ebollizione.
Visitammo poi l’anfiteatro Flavio, il terzo più grande dell’antichità, dopo il Colosseo e quello di Capua (la Capua antica, che oggi corrisponde a Santa Maria Capua Vetere). Da lì ci spingemmo fino all’antro della Sibilla Cumana e al Lago d’Averno, dove secondo Virgilio sarebbe approdato Enea nel suo viaggio.
Proseguendo verso Bacoli, notai quanto fosse difficile muoversi tra case vecchie e nuove, costruite forse troppo in fretta in epoche di sviluppo urbanistico disordinato. Raggiungemmo comunque i resti di Baia, una località che i Romani consideravano una sorta di Montecarlo dell’epoca. Le antiche terme, con le loro strutture protette da cupole perfette, resistono ancora oggi nonostante il tempo e il bradisismo. Attualmente, parte di quel patrimonio è diventato un museo subacqueo dove si possono ammirare templi e ville sommerse: un vero tesoro sommerso nel cuore del Mediterraneo.
Ma il ricordo più vivido e profondo resta quello della visita alla Piscina Mirabilis. Per trovarla ci affidammo al passaparola del posto, finché non riuscimmo a incontrare una signora — forse si chiamava Maria, o Filomena — che custodiva la chiave del sito. Ce la affidò con semplicità, chiedendoci solo di restituirla a visita conclusa. Entrammo da soli, in silenzio, e in un attimo ci sentimmo come due esploratori alla scoperta di un tempio dimenticato dal tempo. Le colonne armoniche e imponenti, l’atmosfera quasi sacra: sembrava una basilica nascosta nel ventre della terra. Restammo lì a guardarci intorno, pieni di stupore. “Incredibile”, ripetevamo a bassa voce.
Eravamo soli, senza guida, immersi in quella meraviglia antica guidati solo dalla nostra curiosità. Nessuna esperienza digitale, per quanto avanzata, potrà mai restituire le sensazioni autentiche vissute in quel momento. Riportammo la chiave alla gentile custode, bussando alla sua finestra da cui usciva un profumo caldo e familiare di ragù domenicale.
Oggi, quando ripenso a quei luoghi — dalla Solfatara di Pozzuoli al Lago d’Averno, dalla Piscina Mirabilis ai resti di Baia — sento di aver camminato su un terreno che è molto più di un vulcano: è un respiro della Terra, un dialogo tra storia, mito e natura. E anche se l’eco del bradisismo continua a farsi sentire, quella bellezza nascosta rimane, potente e viva.
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