La Cucina Italiana candidata a Patrimonio UNESCO. Ecco tutte le idee per un weekend con gusto

Con i suoi 55 siti, al pari della Cina, l’Italia è il paese con il più vasto Patrimonio UNESCO al mondo.  Ma un nuovo progetto di candidatura a Patrimonio Immateriale dell’Umanità è già partito e riguarda un’eccellenza da sempre riconosciuta in tutto il mondo: la Cucina Italiana. L’iniziativa è partita da Maddalena Fossati, direttrice de La Cucina Italiana, in collaborazione con le agenzie SpoonGroup e BIA e con il sostegno dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale del MiBACT e dell’ANCI.

“Ritengo che attraverso questo progetto potremmo valorizzare l’enogastronomia per farne un motore di ripartenza in un momento così importante. E lo faremo partendo dai nostri prodotti, dalle nostre ricette, cosi come dalle storie dei nostri produttori, dalle tradizioni locali e dai paesaggi che diventano enogastronomici in un’ottica di integrazione tra innovazione, sostenibilità e rispetto delle tradizioni”, ha detto Roberta Garibaldi, Presidente dell’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico e membro del Comitato Scientifico che preparerà il dossier per la candidatura della Cucina Italiana.

Roberta Garibaldi, Presidente dell’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico e membro del Comitato Scientifico per la candidatura della Cucina Italiana
In attesa di conoscere quale sarà il responso dell’UNESCO, vi presentiamo di seguito le altre eccellenze enogastronomiche italiane già “Patrimonio dell’Umanità”, dove potete scegliere di trascorrere un weekend con gusto.

Le altre eccellenze enogastronomiche italiane Patrimonio UNESCO

La Cucina Italiana non sarebbe la sola eccellenza a entrare nel Patrimonio Immateriale dell’Umanità. Altre legate al cibo sono già state inserite nella prestigiosa lista. La più recente in ordine di tempo, nel 2017, è stata l’Arte del Pizzaiuolo Napoletano, che racchiude non solo la peculiarità dell’inimitabile pizza napoletana, ma anche la tradizione che si tramanda da Maestro ad apprendista nelle botteghe e nelle pizzerie tradizionali, ma anche nelle case. “La preparazione della pizza alimenta la convivialità e lo scambio intergenerazionale e assume il carattere di spettacolarizzazione con il Pizzaiuolo al centro della bottega mentre mostra la sua arte”, si legge infatti nella motivazione dell’UNESCO. Un weekend a Napoli, vi consentirà non solo di gustare la vera pizza napoletana, ma anche di “vivere” questa tradizione unica che tutto il mondo ci invidia.

Nel 2014 è stata inserita nel Patrimonio Culturale dell’Umanità la Coltivazione della Vite di Zibibbo ad Alberello di Pantelleria, un metodo di coltivazione sostenibile, che coinvolge circa 5000 abitanti dell’isola siciliana secondo una tecnica antica e celebrata da riti e festeggiamenti che durano per tutta l’estate. Dalla vite di Zibibbo si ricavano i famosi passiti di Pantelleria, rinomati e conosciuti in tutto il mondo.

Coltivazione della Vite di Zibibbo ad Alberello di Pantelleria

Anche la Dieta Mediterranea, è Patrimonio dell’Umanità dal 2013 e l’Italia la condivide con Cipro, Croazia, Spagna, Portogallo, Grecia e Marocco. Oltre al valore del cibo, delle ricette e della tradizione, l’UNESCO ha riconosciuto anche l’importanza della convivialità: mangiare tutti insieme contribuisce infatti a creare un’identità comune, ma anche a promuovere ospitalità, dialogo interculturale e creatività. Inoltre, vengono include anche il rispetto della stagionalità degli alimenti e delle materie prime e la tutela delle usanze e tradizioni artigiane.

I paesaggi italiani “Patrimonio materiale” UNESCO

Nella lista dei siti italiani Patrimonio dell’Umanità ci sono anche intere aree legate all’enogastronomia. Tra questi ci sono i paesaggi vitivinicoli piemontesi di Langhe-Roero e Monferrato, culla di celebri “rossi”, come il Barolo, il Barbaresco, il Barbera d’Asti e l’Asti Spumante. Alle colline ammantate di viti e castelli medievali si aggiungono le numerose cantine e i tipici infernòt, i sotterranei scavati nell’arenaria per conservare le bottiglie. Senza dimenticare i rinomati prodotti tipici e le ricette della tradizione, da accompagnare con i celebri vini.

I paesaggi della zona vitivinicola di Langhe-Roero

Nel 2019 sono entrate a far parte dei siti UNESCO anche le Colline del Prosecco di Conegliano Valdobbiadene, in provincia di Treviso, dove nasce il vino più venduto al mondo, con ben 90 milioni di bottiglie prodotte ogni anno e 180 cantine sparse sul territorio. A Conegliano, nel 1876 è nata la prima Scuola Enologica d’Italia, ancora attiva, per insegnare e tramandare la raffinata tecnica spumantistica.

Panorama della zona di produzione del Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene

Inoltre la Strada del Prosecco e dei Vini dei Colli Conegliano Valdobbiadene consente di percorrere, in bici o a piedi, in una o più tappe, un percorso ad anello di 90 km che si snoda tra paesaggi collinare ammantati di vigneti, piccoli borghi senza tempo, eremi, pievi, chiesette che custodiscono piccoli e grandi gioielli di arte e di storia.

In bici lungo la Strada del Prosecco

Le Città Creative della Gastronomia UNESCO: le idee per un weekend

La sezione delle Città Creative dell’UNESCO è nata nel 2004 ed è divisa in sette settori culturali, tra cui la Gastronomia, dove il cibo diventa fattore di crescita e motore turistico ed economico. L’Italia ne vanta ben tre in questa sezione. Vi sveliamo quali sono.

La prima a essere eletta “Città Creativa della Gastronomia” è stata Parma, grazie al suo patrimonio agroalimentare unico, insito nel suo DNA. Qui nascono il Parmigiano Reggiano, Il Prosciutto di Parma, il Salame di Felino, il Culatello di Zibello e hanno la loro sede aziende agroalimentari come Barilla, Parmalat, Mutti e i Consorzi del Parmigiano Reggiano e del Culatello. Nel territorio della Provincia, poi, sono dislocati i Musei del Cibo, che raccontano la storia e le tradizioni dei rinomati prodotti emiliani.

Fa parte delle Città Creative UNESCO anche Alba, “capitale” del rinomato tartufo bianco, ma anche delle nocciole piemontesi con cui vengono prodotte specialità come i gianduiotti, il torrone e la Nutella. Senza dimenticare i vini delle Langhe e i deliziosi formaggi, tra cui la tipica Toma. Completa il quadro una fitta rete di ristoranti dove gustare i piatti della tradizione, ma anche le “variazioni” sul tema grazie alla creatività di cuochi e chef stellati.

Un pregiato tartufo bianco di Alba

Ultima, ma sono in ordine di “ingresso” nelle Citta Creative, Bergamo, entrata nel network dell’UNESCO nel 2019 grazie alla sua pregiata produzione casearia che vanta ben 30 formaggi tradizionali, di cui nove DOP e tre Presidi Slow Food.

Veduta di Bergamo

Tra i 9 formaggi DOP “che valgono un Patrimonio” ci sono il Bitto, il Formai de Mut dell’Alta Val Brembana, il Gorgonzola, il Provolone Valpadana, il Grana Padano, il Quartirolo Lombardo, il Taleggio, il Salva Cremasco e il Strachitunt. Tutti da assaggiare e, magari, portare a casa durante un delizioso weekend con gusto.




ESTATE, TEMPO DI ALPEGGI..TEMPO DI BITTO DOP!

Raccontano che il Bitto sembra nato tra le popolazioni celtiche le quali, scacciate dalla Pianura Padana ad opera dei Romani, popolarono la Valtellina, territorio montuoso e quindi più “difficile” da sfruttare da un punto di vista alimentare, ma anche rifugio sicuro, fertile e abbondante di pascoli.

BITTO, IL FORMAGGIO “PERENNE”

“Bitto” deriva infatti dal celticobitu”, ovverosia “perenne”. Forse perché la lavorazione del latte permetteva alle popolazioni dell’epoca di andare oltre la pura sussistenza quotidiana, grazie alla possibilità di conservare il formaggio per lungo tempo, e di utilizzarlo come “scorta” alimentare. E, in verità, il nome di battesimo “perenne” si è rivelato nei secoli più che un augurio, se pensiamo che il Bitto è arrivato fino a noi, grazie all’esperienza dei maestri casari che, di padre in figlio, ci hanno tramandato gli antichi metodi di produzione.

Alle 5 del mattino e verso le 17, durante i mesi estivi, è possibile fermarsi presso uno dei tanti alpeggi montani della Valtellina, per assistere alla nascita…del Bitto!

Quando infatti il sole non è troppo caldo, il casaro, responsabile della lavorazione del formaggio, aiutato dai cascii (pastorelli), in genere figli o parenti del casaro, inizia la mungitura delle vacche e delle capre, perché il Bitto è fatto con latte di mucca ed un’aggiunta massima del 10% di latte di capra. Il latte appena munto viene subito lavorato col caglio nelle caldaie di rame a campana rovesciata (le culdère”) alla temperatura di 35-37°C, mentre il casaro (casèr) rimescola l’ammasso.

COSI’ NASCE IL BITTO

La cagliata, così ottenuta, progressivamente indurisce, finché il casaro, secondo la propria esperienza e abilità, non decida di sottoporla alla “rottura”: dopo aver ripulito il composto dallo strato superficiale di caseina e grasso (la “pannetta”), con movimenti lenti e delicati la cagliata viene divisa in grosse fette, dalle quali comincia a separarsi il siero. Infine, la massa viene ulteriormente tagliata con la “lira” o “chitarra” e quindi frantumata con lo “spino”, fino a ridurla in grumi, che andranno cotti alla temperatura di 48-52°C continuando a rimestarli perché non si aggreghino.

Al termine di questa seconda cottura, i granuli si adageranno sul fondo della caldaia addensandosi e legandosi: la cagliata rimasta viene depositata sullo spersore, all’interno delle fascere dalle quali il Bitto prenderà forma grazie alla pressatura di 24 ore. La fase della salagione, che può avvenire “a secco” o per immersione in salamoia, oltre a conferire gusto al formaggio, consente la creazione della crosta, che isolerà la forma dall’ambiente esterno per favorire un certo grado di asetticità.

Il ciclo di lavorazione termina all’interno delle casere, tipici locali da stagionatura, alla temperatura di circa 12-16°C e umidità relativa intorno all’80-90%. In questa fase delicata, in cui il Bitto acquista consistenza e gusto, il casaro, oltre a garantire le migliori condizioni di temperatura e umidità, ogni giorno rivolta le forme, le pulisce e ne controlla l’integrità per favorire la maturazione del formaggio.

IL BITTO: DIVERSE STAGIONATURE

Se siete fortunati, il casaro vi farà assaggiare un po’ di Bitto stagionato, il disciplinare di produzione prevede un minimo di 70 giorni di stagionatura affinché il Consorzio di Tutela possa marchiare le forme. Se siete, invece, fortunatissimi, il casaro tirerà fuori per voi il suo pezzo migliore: il Bitto può arrivare ad oltre 10 anni di stagionatura!

Il gusto, col procedere della maturazione, si fa via via più intenso, e i tipici sapori d’erba e di latte appena munto del formaggio giovane vanno trasformandosi in un aroma sempre più piccante e deciso.

IL BITTO: COME DEGUSTARLO

Il Bitto è un formaggio da meditazione, la pasta alla masticazione è friabile e solubilissima, il sapore deciso lascia dei sentori di frutta secca, nocciola, noce, burro, di fieno e di fiori secchi. Per gustarlo occorre portare il formaggio a temperatura, masticarlo con cura e lasciare che il suo gusto ci avvolga.  In perfetto abbinamento con un pregiato “Sfursat” della Valtellina, vino passito anch’esso da meditazione.Vi lasciamo ora due ricette “atomiche” di chef Andrea Mainardi per gustare il BITTO DOP anche d’estate in modo fresco e leggero..

CARPACCIO DI MANZO ALLA CATALANA CON BITTO DOP

INGREDIENTI per una porzione:

  • 250 gr di controfiletto di manzo
  • 50 gr di Bitto DOP
  • 5 Pomodorini
  • 2 gambi di sedano bianco
  • 1 cipolla rossa
  • Aceto di vino bianco q.b.
  • Olio EVO q.b
  • 1 rametto di menta
  • Sale e pepe q.b.

Tagliare la cipolla rossa a fettine e marinarla con aceto e sale. Aggiungere alla marinatura i pomodorini tagliati a metà e il sedano tagliato a tocchetti. Regolare a piacere con olio, sale e pepe. Tagliare il controfiletto di manzo a fettine e disporlo su un foglio di pellicola. Chiudere il tutto con un altro foglio di pellicola. Battere la carne e dare una forma circolare. Togliere il foglio di pellicola superiore, ribaltare la carne sul piatto e rimuovere anche il secondo foglio di pellicola. Disporre sopra il carpaccio di carne la marinatura di pomodorini sedano e cipolla. Aggiungere ciuffetti di menta. Per decorare il piatto creare delle scaglie di Bitto DOP con il pelapatate e arrotolarle su se stesse. Regolare di pepe.

ANANAS CON POLLO AL CURRY  E BITTO DOP

INGREDIENTI per una porzione:

  • 1 confezione di fettine di petto di pollo
  • 50 gr di Bitto DOP
  • Curry q.b.
  • 1 confezione da 30 gr di mandorle sgusciate
  • 30 gr di burro
  • 1 confezione di crostini di pane
  • 1 mela
  • 1 ananas
  • Erba cipollina q.b.
  • Sale e pepe q.b.
  • 1 confezione di panna fresca da 250 gr

Sbucciare una mela e tagliarla a fettine. Mettere una noce di burro in padella e buttarci le fettine di mela fino a farle dorare. Aprire l’ananas e ricavare dei cubetti dalla polpa. Aggiungere i cubetti ottenuti alla mela in padella. Tagliare le fettine di pollo a cubetti e metterle in padella, aggiungere curry, sale, pepe e la panna fresca. Cuocere il tutto. Unire le mandorle e l’erba cipollina. Per impiattare utilizzare l’ananas scavato in precedenza, decorare con crostini di pane e mandorle intere. Completare con una grattata di Bitto DOP