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Il volo dell’angelo, adrenalina nelle piccole Dolomiti Lucane

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di Raffaele d’Argenzio

PRIMO GIORNO. Il richiamo delle terre lucane c’era da tanto, ma è stato il volo dell’angelo ad incuriosirmi maggiormente. Un volo fra Castelmezzano  e Pietrapertosa.

A Castelmezzano ci sono arrivato all’imbrunire, quando il sole alza il suo sguardo ed illumina le cime degli alberi, delle colline, delle montagne.
Ed allora mi è apparso un paesaggio fantastico…forse ero troppo stanco, eppure il viaggio da Napoli  non era stato lungo… avevo preso l’autostrada SA-RC, e poi la E 45. Un  po’ di curve, che servono a tenerti  sveglio…ma se ero  sveglio allora perchè mi è apparso questo presepe che sembra dipinto sulle pale dolomitiche? Che diavolo avevo bevuto?

Come avevo fatto a finire in Trentino? No, ero arrivato invece nelle Piccole Dolomiti Lucane, che devono il loro  nome non alla roccia  dolomia ( questa è arenaria), ma alla loro forma, che davvero stupisce per bellezza e varietà. Basta soffermarsi a guardare queste rocce per vedere in esse un delfino,  un elefante o un viso di donna…

Il borgo è adagiato sotto queste gigantesche pale, come a chiederne protezione e infatti lo stesso suo nome viene da Castrum Medianum, cioè una fortezza probabilmente al centro del territorio o della strada che poi portava al       golfo di Taranto che da quassù talvolta è visibile.   Ma oggi è anche uno dei Borghi più belli d’Italia, infatti vi  è stato anche ambientato il film “Un paese quasi perfetto”, con Fabio Volo e Silvio Orlando.

Nella piazza  si affaccia la  chiesa  di Santa Maria dell’Olmo, con una madonna lignea bizantina e sulla parte sinistra i segni del passaggio dei Templari, come la loro croce a otto punte e i loro simbolo: due cavalieri su un unico cavallo. Bella la chiesa, anche se secondo me hanno esagerato nel restauro, togliendo la patina del tempo.

Ma oltre a Templari, non resisto ad andare al Castello dei Normanni, anche se mi avvertono subito che ci sono solo i resti. Ci vado lo stesso e dopo una discreta salitina, trovo  quella che doveva essere una piccola fortezza  scavata nella roccia e con solide mura.

Ma mi ha stupito di più la grande roccia in cui è scavata una scala che porta al punto più alto, da cui si potevs controllare ogni spostamento di truppe nella valle del Basento. Ma a me sembra un trampolino verso il cielo, da cui spiccare il volo dell’Angelo.

Infatti da qui si può vedere il borgo di Pietrapertosa  (pietra bucata), che domani dovrei raggiungere proprio con il Volo dell’Angelo, cioè lanciandomi,  sostenuto da un robusto cavo d’acciaio, a mo’ di proiettile , o di aquila, come preferite. Pensandoci e guardando in basso, sento una strana sensazione: è paura o adrenalina anticipata?

Ma con il percorso delle Sette Pietre  il tempo viene percorso a ritroso, riportandoci al tempo delle Streghe, che pare si radunassero in fondo, sul greto del fiume. E il percorso è formato da sette tappe, da sette pietre, totem parlanti che ci riportano le storie delle masciare (streghe), che Mimmo Sammartino, con “ Vito ballava con le streghe”, ha descritto mirabilmente ricordando i racconti dei vecchi, che  per riempire la loro vita avevano bisogno di pane di incanti.

In fondo al piccolo fiume Capperino, si trova un paesaggio antico, quasi  selvaggio. E il rudere di quello che doveva essere un mulino ad acqua. Un viaggio nel passato.

Munitevi di scarpe adatte, per la discesa e la risalita. Risalendo verso  Castelmezzano vedo un angelo che vola veloce verso Pietrapertosa,  il borgo più alto della Basilicata (1088 m) fondato dagli arabi. Mi chiedo: riuscirò a volare anche io? Domani, secondo giorno di questo weekend lucano, lo saprò.

 

 LA RICETTA DI VIAGGIO

E dopo un salto nel passato andiamo Al Becco della Civetta, un ristorante dove la chef Antonietta Santoro è riuscita a far convivere la tradizione e il gusto attuale.

Ecco come ci parla di una ricetta antica.

Ricetta
 Fave e cicoria

“A Castelmezzano l’età biologica è inferiore a quella cronologica grazie al consumo delle erbe: Zia Caterina è stata una delle testimonianze con i suoi 104 anni (è mancata da poco). Nel passato l’università di Londra ha svolto una ricerca etnobiologica e antropologica. La conoscenza delle erbe è una storia di donne, la mia è una famiglia matriarcale. Questa ricetta ha una versione sia invernale che primaverile. L’inverno si utilizzano le fave secche con le cicorie dell’orto, in primavera quelle fresche con le cicorie di campo.”

INGREDIENTI

  • 200g fave secche decorticate
  • 400g cicoria selvatica
  • Un mazzetto  di finocchietto selvatico
  • Olio e.v.o. ;
  • Cipolla, aglio e sale q.b.

 

PROCEDIMENTO

 Per la purea: Porre le fave a mollo per circa 5 ore in abbondante acqua, scolarle e sciacquarle sotto acqua corrente, poi cuocere a fuoco basso per circa 2 ore, aggiungendo dell’acqua calda se necessario. Rimuovere l’eventuale schiumetta rilasciata dalle fave. Aggiungere le barbe di finochietto lavate e mondate. Fare appassire la cipolla nell’olio e versarlo a fine cottura nelle fave. Frullare e regolare di sale.

Per le cicorie: Pulite le cicorie e lessatele in acqua salata. In una padella soffriggete l’aglio, scartatelo e poi cuocete le cicorie, regolando di sale.

Inpiattamento: Disporre in un piatto fondo un mestolo di purea, al centro  mettere un ciuffo di cicoria e irrorare con un filo d’olio.